Hai mai pensato agli effetti dell’ansia sul tuo corpo e sul tuo cervello?
La vita frenetica di tutti i giorni può farci provare delle sensazioni difficilmente gestibili. Capita molto spesso che, dovendo tenere a mente molte cose da fare e programmare, ci sentiamo in balia degli eventi e dei pensieri e non riusciamo a riprendere il controllo delle nostre sensazioni. L’ansia rientra tra le emozioni secondarie e ci permette di prepararci a situazioni potenzialmente pericolose. A differenza della paura, in cui la minaccia è imminente e permette attivazione del Sistema Nervoso Autonomo per attuare dei comportamenti di fuga, l’ansia si prova rispetto a delle minacce future. Ciò porta quindi a dei comportamenti di prudenza, agitazione o evitamento. L’ansia quindi, se controllata, ci permette di stare alla larga dai rischi e dalle situazioni potenzialmente spiacevoli. Ben diverso però è la situazione in cui è la stessa ansia a prendere il controllo del nostro corpo e del nostro cervello. Chi soffre d’ansia si trova a dover gestire pensieri intrusivi e negativi (“non sarò mai in grado di risolvere questo problema”, “farò una brutta figura quando presenterò il mio progetto davanti agli altri”), emozioni e comportamenti, dati dalla paura di sbagliare, e sensazioni corporee. Infatti, il corpo ci manda dei segnali per avvisarci che qualcosa non sta andando nel verso giusto (tachicardia, tensione muscolare, fiato corto, sudorazione, temperatura bassa di mani e piedi). Anche il nostro cervello fa fatica a lavorare nel migliore dei modi. A livello cognitivo gli stati d’ansia sono spesso associati a difficoltà di concentrazione, agitazione, difficoltà di memoria, scarsa attenzione, ecc. Quindi perché soccombere a tutto questo, invece di riprendere veramente il controllo del nostro corpo e del cervello? Le tecniche di biofeedback si sono rivelate particolarmente efficaci anche per questo tipo di problematiche. Attraverso un training, la persona impara a riconoscere quali sono i propri pensieri intrusivi e ansiosi che hanno un effetto sia a livello cognitivo che fisico. Queste tecniche esclusive e all’avanguardia permettono infatti di controllare i principali indici psicofisiologici (battito cardiaco, respirazione, conduttanza cutanea, temperatura periferica, tensione muscolare). In questo modo la persona può imparare delle strategie efficaci e applicabili nella vita quotidiana per riequilibrare i vari indici, aumentare lo stato di benessere, migliorare la performance e il rendimento cognitivo. Per maggiori informazioni non esitare a contattarci.
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Mal di testa, stanchezza generale, mal di stomaco, insonnia e dolori muscolari. Questi sono solo alcuni dei disturbi legati allo stress che colpisce quasi 9 italiani su 10.
A rivelarlo è uno studio che mette in relazione stili di vita e stress promosso da Assosalute (Associazione Nazionale farmaci di automedicazione che fa parte di Federchimica). Secondo l’indagine i disturbi da stress sono molto diffusi L’85% della popolazione intervistata ha sofferto negli ultimi sei mesi di almeno un disturbo, mentre il 45% dichiara di averne avuti tre o più. Le donne e i giovani sono i più colpiti dai disturbi da stress, sia per incidenza sia per frequenza. Il mal di testa (46,2%) e la stanchezza (45,9%) risultano i disturbi più diffusi, seguono il mal di stomaco (26,9%), la tensione o il dolore muscolare (25,5%), l’insonnia (24,9%) e l’ansia o agitazione (23,4%). Il rimedio più diffuso è il riposo (lo sceglie il 52% degli italiani), seguito dal ricorso ai farmaci di automedicazione (27%) e dall’attenzione all’alimentazione (26%). Oltre alle cause comuni, magari legate al lavoro o a eventi particolari della vita familiare come un lutto, in agguato c’è il ‘tecnostress‘, a cui sono stati attributi parametri numerici ben precisi. “Si definisce tecnostressata la persona che sta al computer più di 4 ore al giorno, fa più di 20 telefonate e manda più di 20 sms o messaggi via WhatsApp”, spiega Piero Barbanti, direttore dell’Unità per la Cura e la Ricerca su Cefalee e Dolore, IRCCS San Raffaele di Roma. “I sintomi – aggiunge – sono sostanzialmente tre: la sindrome da fatica informatica, ovvero un senso di grande stanchezza; l’insonnia e la depressione”. Fonte:www.popsci.it Presso The BrainLab Group, maggio è il mese della Prevenzione dei Danni da Stress. Leggi di più Le maggiori cause del trauma cranico sono rappresentate da incidenti come cadute, incidenti stradali, sportivi, lavorativi e domestici.
La ricerca indica chiaramente che il trauma cranico può determinare impatto a lungo termine sulla salute sia fisica che cognitiva che mentale ed emotiva. I sintomi che perdurano dopo il trauma più spesso sono mal di testa, dolore cervicale, affaticamento, capogiri, ansia, sintomi fisici da stress e a volte depressione. In particolare, anche quando non vi è stata perdita di coscienza, può determinare cambiamenti nel funzionamento globale della persona o in specifiche aree:
La persona in conseguenza del trauma può non essere in grado di fare quello che faceva prima o non farlo con la stessa efficienza e velocità, ma anche andare incontro ad insuccessi scolastici e lavorativi, ma anche avere conseguenze sulla vita relazionale sentendosi poco capita dai familiari e/o amici, peggiorando le proprie relazioni interpersonali e sperimentando vissuti di inadeguatezza e isolamento e conseguente peggioramento delle condizioni di benessere psicologico. Tali conseguenze inoltre, se non riconosciute o sottovalutate, possono essere attribuite alla persona con il risultato di peggiorarle e protrarle nel tempo e amplificarle. Oltre al quadro clinico relativo alla sfera medica, è importante portare l'accento sul fatto che l'incidente rappresenta un vero e proprio evento traumatico. Per definizione, un evento viene definito traumatico quando una persona ha vissuto o ha assistito ad un accadimento che le ha provocato sentimenti di paura, orrore e impotenza ed ha provocato o avrebbe potuto provocare gravi lesioni o morte alla sua persona o ad altri. La conseguenza di ogni tipo di trauma è che chi l'ha subìto può incorrere nello sviluppo di risposte emotive molto intense che includono:
D'altra parte, anche i familiari hanno subìto un trauma, che non deve essere sottovalutato. Pertanto, oltre a intervenire sulla sfera cerebrale per lavorare su quelli che sono i danni neuronali, è assolutamente raccomandabile un intervento specialistico a tutela del benessere mentale del paziente e della famiglia. E' ormai diffusa la conoscenza di un'efficace metodologia psicoterapeutica, sostenuta da una grandissima mole di ricerca scientifica, che si chiama EMDR (Eye Movement Desensitization and Reprocessing), raccomandata dall'OMS per la rielaborazione dei traumi. L'EMDR può rappresentare una preziosissima risorsa per il trattamento dello stress, dell'ansia, del dolore psicogeno e di tutti sintomi emotivi e comportamentali correlati ad un evento traumatico. Nel caso del trauma cranico può aiutare sia la persona che l'ha subito sia le persone care. Da leggere in approfondimento Per saperne di più sull'EMDR Neurofeedback e Biofeedback come trattamento per il Trauma Cranico
A seguito di un Trauma Cranico ci sono alcune tecniche di riabilitazione che vengono tipicamente utilizzate per il trattamento degli esiti di tipo cognitivo. Tali tecniche consistono in procedure che mirano a riabilitare la sfera cognitiva utilizzando la stimolazione e l’esercizio (ad es. allenamento delle varie abilità attentive assistite da computer); vi sono poi le tecniche di riabilitazione cognitiva di tipo strategico (ad es. attraverso l’utilizzo della visualizzazione, la creazione di associazioni), strategie di tipo compensatorio ed infine la terapia farmacologica (farmaci che mirano al miglioramento cognitivo per l’attenzione, la memoria ecc.). Tutte queste metodologie generalmente portano solo miglioramenti modesti, ed è esperienza comune per i pazienti con Trauma Cranico sentirsi dire dopo un anno e mezzo circa che a quel punto hanno ottenuto praticamente il massimo dei risultati che possono sperare di ottenere e che, per conseguenza, l’unica cosa che resta da fare, a loro e alle loro famiglie, è adattarsi alla nuova situazione. In realtà le cose non stanno proprio così: esiste una strategia di riabilitazione assolutamente sottoutilizzata e sottoconsiderata nella realtà italiana, contrariamente a quanto avviene nel resto del mondo, che detiene un potenziale decisamente significativo per sostenere e promuovere la riabilitazione cognitiva dopo un Trauma Cranico. Questo metodo è il Neurofeedback (EEG Biofeedback). Nella pratica clinica, per la riabilitazione del Trauma Cranico è fortemente suggerita l’integrazione tra Neurofeedback e altre forme di Biofeedback, in particolare quella rivolta all’aumento della Variabilità della Frequenza Cardiaca (HRV, Heart Rate Variability). Le più recenti ricerche scientifiche inoltre raccomandano altresì di portare l’attenzione alla relazione tra alimentazione e recupero cerebrale, fattore che può influenzare drasticamente le capacità del cervello di riattivarsi e poter rispondere in modo ottimale alle sollecitazioni richieste dall’allenamento riabilitativo a cui le reti neuronali vengono sottoposte durante il Neurofeedback e l’HRV training. In questa ottica The BrainLab Group ha sviluppato un esclusivo protocollo di valutazione e intervento multidimensionale per il recupero dopo un Trauma Cranico. Il mal di testa oggi è tra le maggiori cause di sofferenza. Ne soffre almeno 1 persona su 10 nel mondo.
Chi soffre regolarmente di mal di testa (sia cefalea che emicrania) sa fin troppo bene quanto sia debilitante e invalidante. Nei casi peggiori, il mal di testa impedisce di lavorare, andare a scuola e vivere una vita normale. Le emicranie sono dei mal di testa di tipo vascolare, causate da una dilatazione dei vasi sanguigni cerebrali. Al contrario, le cefalee sono causate da un restringimento dei vasi sanguigni. Sebbene alcune cose come la luce forte, il movimento, o alcuni alimenti possano scatenare un’emicrania, di fatto si tratta di complessi fenomeni neurovascolari, causati da rebound parasimpatici da parte del sistema nervoso centrale, che manifesta un’instabilità dell’eccitazione corticale e pattern di attivazione cerebrale disfunzionali. Questi rebound si manifestano quando una persona sperimenta un livello di stress per un periodo di tempo sufficiente a farlo diventare cronico, il funzionamento del Sistema Nervoso Autonomo – responsabile di mantenere l’omeostasi dei nostri ambienti interni e di adeguare le nostre reazioni somatiche ai nostri stati emotivi - si modifica in modo permanente. Spesso accade che le emicranie non si manifestino durante il periodo di stress. Piuttosto, si presentano immediatamente dopo. Ciò che succede è che il sistema nervoso parasimpatico, che si riattiva dopo un stress predominando l’attività simpatica, reagisce in modo eccessivo e riapre i vasi in modo esagerato. Il Neurofeedback aiuta a ripristinare una corretta attivazione cerebrale e rendere il SNC più stabile, diminuendo l’eccitabilità corticale e riducendo in modo significativo – fino alla scomparsa – del mal di testa e dei sintomi connessi. Ma cos'è il Neurofeedback? Il Neurofeedback, detto anche EEG biofeedback o neuroterapia, utilizza la capacità cerebrale di modificare e plasmare le reti cerebrali. E’ un modo di insegnare al cervello di funzionare meglio. E’ un trattamento supportato dalla ricerca scientifica utilizzato in moltissimi casi: aumento della capacità attentiva, diminuzione dell’ansia, miglioramento dell’umore, miglioramento dell’apprendimento e del comportamento…senza farmaci. Sebbene alla base ci sia una complessa tecnologia, e l’uso sia riservato a terapeuti con forti competenze neuroscientifiche e di conoscenze delle relazioni cervello-comportamento, il processo è semplice, senza alcun dolore e totalmente non invasivo. E’ puro e semplice apprendimento, da parte di pool di neuroni, che avviene grazie a continue informazioni che vengono fornite al SNC. La differenza sta proprio in questa “informazione di ritorno” (feedback) che viene fornita al cervello rispetto al suo modo di funzionare di secondo in secondo. Con il Neurofeedback viene fornito un tipo d’informazione che nel mondo di tutti i giorni non è disponibile. Quello che succede è che viene restituita un’informazione rapidissima – in termini di millisecondi – su come sta funzionando l’attività elettrica cerebrale. Ogni quarto di secondo al massimo, l’attività cerebrale effettiva viene comparata con il target di cambiamento desiderato, e il cervello riceve uno o più segnali che consistono in una sorta di “ricompensa” solo quando il target viene rispettato. In questo modo, attraverso una storica ed indiscutibile legge dell’apprendimento, detta Condizionamento Operante, il cervello impara a modificare il suo “comportamento”. Noi utilizziamo una combinazione di EEG neurofeedback e di HEG neurofeedback (emoencefalografia), e quando necessario anche altre tecniche di biofeedback. Prima vediamo il problema, poi lo risolviamo. Tutti i disturbi psicologici risultano da problemi nel funzionamento cerebrale. Il che non sta a significare che si può interventire solo con i farmaci. E nemmeno che non sia possibile intervenire, anzi! Il nostro cervello è plastico e grazie a questa sua qualità possiamo modificarlo e di conseguenza risolvere molte problematiche senza l’uso di farmaci. Ma è vero anche che non si possono trattare tutti i cervelli indistamente solo in base al sintomo che la persona lamenta. Spesso lo stesso sintomo infatti è sostenuto da diversi pattern di funzionamento cerebrale. Per questo presso The BrainLab Group effettuiamo un’approfondito assessment clinico e psicofisiologico. Misuriamo la funzionalità cerebrale con una mappatura detta qEEG (quantitative EEG), una vera e propria mappa del funzionamento delle varie aree del cervello, in modo da comprendere quali siano i pattern disfunzionali da correggere, e indaghiamo tutte le aree significative di vita della persona che si rivolge a noi. Con tutte queste fondamentali informazioni in nostro possesso, definiamo un piano di training completamente personalizzato e studiato in base ai dati emersi. Questo permette di modificare il funzionamento cerebrale, di riplasmare la struttura cerebrale e di modificare gli equilibri neurotrasmettitoriali risolvendo il problema alla base, non semplicemente mascherando i sintomi. Un nuovo dispositivo portatile riesce a tradurre l’attività cerebrale in un suono, scovando in tempo reale le cosiddette “crisi silenziose”, situazioni patologiche in cui la tempestività del trattamento è cruciale.”Vai al letto del malato, lo colleghi, e immediatamente sai se il paziente ha una crisi”, dice Josef Parvizi del Centro medico dell’Università di Stanford, che ha contribuito alla realizzazione dell’apparecchiatura. “Non devi aspettare il referto di un neurologo che sarà disponibile solo dopo diverse ore”. Il nome del dispositivo è Ceribell EEG.
La messa a punto Josef Parvizi e Chris Chafe, dello Stanford’s Center for Computer Research in Music and Acoustics, hanno messo a punto Ceribell EEG con l’obiettivo di ridurre i tempi di diagnosi delle crisi cerebrali. Approvato l’anno scorso dalla Food and Drug Administration, l’apparecchio consiste in una fascia monouso con elettrodi incorporati e un dispositivo delle dimensioni di uno smartphone che registra l’attività EEG e la converte in un suono simile alla voce. Mentre la normale attività cerebrale produce un rumore costante simile a un ronzio, le crisi producono un suono fluttuante simile al vibrato. Dopo aver visto un video esplicativo di quattro minuti, i non esperti che ascoltano il suono dell’EEG registrato potrebbero identificare le convulsioni con “notevole precisione”, come affermano Parvizi e il suo team in uno studio pubblicato online il 21 marzo su Epilepsia. Il test Per provare l’efficacia di Ceribell EEG, il team di ricerca ha scelto 84 tracciati EEG: 7 registravano convulsioni, 25 attività simil-convulsive e 52 attività non-periodica, non ritmica, convertita in registrazioni audio di 15 secondi. Dopo aver visto un video di addestramento di quattro minuti, 34 studenti di medicina e 30 infermieri hanno ascoltato gli EEG sonori e li hanno classificati come “crisi” o “non-crisi”. La sensibilità di identificazione delle crisi si è attestata al 98% per gli studenti di medicina e del 95% per gli infermieri, mentre la specificità era rispettivamente del 66% e del 65%. Dodici neurologi formati per la lettura degli EEG e 29 studenti di medicina hanno interpretato gli stessi EEG su un display visivo, rilevando convulsioni con una sensibilità dell’86% e una specificità dell’87%. “Sebbene questa apparecchiatura non possa sostituire gli approcci tradizionali all’interpretazione EEG, fornisce tuttavia uno strumento di triage significativo per una rapida valutazione dei pazienti con sospette convulsioni subcliniche”, concludono i ricercatori. Fonte: Reuters Health News LA COMPLESSITA' DEI MECCANISMI NEUROFISIOLOGICI ALLA BASE DELL'APPRENDIMENTO: PASSI AVANTI.3/28/2018 Nel cervello il meccanismo di apprendimento è molto più complicato di quanto si pensasse fino ad ora; questo perché l’apprendimento non si basa solo sulle sinapsi, le connessioni tra i neuroni, ma anche sui dendriti, i prolungamenti dei neuroni stessi. A rivelarlo è un gruppo di ricercatori dell’università israeliana Bar-Ilan su Scientific Reports.
Le premesse Secondo la teoria elaborata nel 1949 da Donald Hebb, tuttora in voga, il punto di forza della memoria e apprendimento starebbe nel contatto tra i neuroni, ognuno dei quali comunica con gli altri simultaneamente attraverso le sinapsi. “Ma il cervello non è un sistema lineare e reagisce in modo non lineare agli stimoli”, commenta Carlo Miniussi, direttore del Centro Interdipartimentale Mente/Cervello dell’università di Trento. Difatti “negli ultimi anni è diventata sempre più importante l’attività casuale del cervello, detta anche rumore di fondo, che aiuta il cervello a scegliere la risposta agli stimoli, integrando tante informazioni insieme”, continua. Se i neuroni possono essere paragonati ad un albero, “i dendriti sono i suoi rami che raccolgono le informazioni dai neuroni, a cui sono collegati con le sinapsi”, aggiunge Miniussi. Lo studio Secondo i ricercatori guidati da Ido Kanter il processo di apprendimento attraverso i dendriti avviene molto più velocemente di quanto finora pensato, e non solo nelle sinapsi. Avverrebbe in pochi dendriti che sono molto più vicini al neurone. “Così è molto più efficiente per il neurone valutare i segnali che gli arrivano”, commenta Kanter. In questo nuovo scenario l’apprendimento avverrebbe quindi in diverse parti del cervello. “La memoria non si formerebbe in un unico punto – conclude Miniussi – ma attraverso numerose modifiche in tanti punti. Ciò significa che la memoria e l’apprendimento non sono il frutto di un singolo cambiamento che determina tutto, ma di tanti cambiamenti generali che avvengono nei dendriti”. Un risultato questo che può trovare applicazione anche nei programmi di intelligenza artificiale. Sezione "brain health blog"E' ormai dimostrato che uno stile di vita sano supporta il corretto funzionamento cerebrale.
“Se non mangi in modo adeguato, puoi diventare distratto, impulsivo, e agitato fisicamente", dice Ned Hallowell, M.D. L'abbiamo sentito tutti un sacco di volte - LA COLAZIONE E' IL PASTO PIU' IMPORTANTE DEL GIORNO"....Ciò è particolarmente vero per le persone con ADHD. Per questo è davvero importante consumare il giusto tipo di colazione. Amidi semplici e cereali zuccherati non daranno energia al cervello, e portano invece a un brusco e importante calo di energia entro le prime ore del pomeriggio. Dato che il tempo e i gusti difficili sono in genere i motivi che impediscono una colazione salutare, vi proponiamo 5 idee veloci e gustose. Avena della sera prima - preparato la sera prima, con solo quattroingredienti chiave: avena (1/2 tazza), yoghurt greco (1/3 di tazza), latte magro (2/3 di tazza) e un pizzico di sale. Mettere tutto in un contenitore e lasciare riposare tutta la notte. E’ un’ottima base alla quale aggiungere quello che piace di più a te o al tuo bambino. Esempi: cannella, miele, semi di chia, estratto di vaniglia, frutta, polvere di cocco, cacao magro…le possibilità sono infinite! Smoothies – Anche qui le possibilità sono davvero infinite. Scegli trayoghurt greco, o latte magro, latte di riso o avena e aggiungi poi quello che preferisci. Oltre alla frutta potete aggiungere anche delle scagliette di cioccolato magro o fondente. Ricorda che gli alimenti altamente suggeriti per l’ADHD e per chi ha gusti allimentari selettivi sono: avena, polvere di cocco non lavorata, burro di mandorle non zuccherato e le banane. *Consiglio: pianifica i tuoi smoothies alla sera, così da avere già tutti gli ingredienti pronti e preparati tagliati pronti per la preparazione! Colazione “combo” preparata in anticipo la sera prima. Prova con: uovosodo, coppa di frutta a pezzi, tazza di mandorle o noci assortite. Fetta di pan carrè con: Burro di mandorle con banana a fette Uovo sodo a fette con formaggio magro Avocado schiacciato con sale e succo di limone. Altri suggerimenti: uova all’occhio di bue, formaggio di capra, salmone affumicato. Cereali ad alta percentuale di fibra: muesli, crusca, fiocchi di grano Consiglio: aggiungi miele o sciroppo d’acero come dolcificante e alcuni frutti rossi. Tempo di lettura: 5 minuti
Il sonno è un processo fondamentale per l’essere umano, come alimentarsi e respirare, ed è necessario per molte funzioni organiche, come:
…ma cosa succede nel nostro cervello durante il sonno? Il sonno ha una struttura ben precisa, con andamento ciclico in cui si alternano stadi alternati di fasi NREM (ovvero non-rem) e fasi REM, caratterizzate da movimenti rapidi degli occhi. In una normale notte di sonno si verificano da quattro a sei cicli alternati di fasi NREM e REM. FASI DEL SONNO Quando siamo svegli, il cervello dovrebbe produrre le frequenze di alpha e beta. In questa modalità diciamo di essere nella fase del sonno 0. Quando siamo pronti per dormire, il nostro cervello si sposta nella Fase 1 (addormentamento), che dura mediamente da 3 a 12 minuti: abbiamo gli occhi chiusi, siamo rilassati, pronti per addormentarci. In questo momento la nostra attività cerebrale rallenta, spostandosi dalle frequenze alpha e beta verso le frequenze theta – alpha scende (veglia fisiologica) e theta sale. Ciò che caratterizza i cambiamenti dalla Fase 1 alla Fase 2 del sonno sono i cosiddetti “fusi del sonno”, ovvero scariche nella frequenza 12-15 Hz nella corteccia sensori-motoria e i “complessi K”. La Fase 2 del sonno (sonno leggero), che dura in media da 10 a 20 minuti, è quando di fatto si passa allo stato incosciente. Nell’attività elettrica registrata con l’Elettroencefalogramma (EEG) vediamo un rallentamento caratterizzato dalla presenza di onde theta e di fusi del sonno (scariche di ritmo SMR) e di complessi K (entrambi questi ultimi sono coinvolti nel rilassamento e nella condizione di calma fisica). In questa fase si alternano periodi spontanei di tonicità muscolare insieme a periodi di rilassamento muscolare. La frequenza cardiaca rallenta, la temperatura corporea diminuisce. Trascorso il tempo necessario, scivoliamo nella Fase 3 del sonno (sonno profondo), della durata di circa 10 minuti, in cui la produzione di onde theta viene sostituita dalla presenza di onde delta. A questo punto siamo entrati in un sonno intenso e profondo. E’ in questa fase che avviene il recupero fisico necessario per il benessere del nostro corpo. Da questa fase si passa alla Fase 4 del sonno (sonno molto profondo), con una netta produzione di onde delta. Se la persona viene svegliata in questo stadio – come anche nella Fase 3 - può avvertire, per qualche minuto, un senso di disorientamento. Dopo circa 90 minuti dall’addormentamento entriamo nella Fase REM, in cui produciamo movimenti oculari veloci (Rapid Eye Movements, da cui deriva l’acronimo REM) e in cui sognamo. Simultaneamente compare anche la paralisi della maggior parte dei muscoli volontari, che impedisce la possibilità di “agire” ciò che stiamo sognando. Questa è la fase che ci permette il recupero psicologico. Il primo periodo REM dura tipicamente 10 minuti, mentre l’ultimo può durare anche un’ora. Nella fase REM, il nostro cervello produce una grande quantità di onde alpha e beta, al punto che spesso è molto difficile, solo leggendo un tracciato EEG, se il cliente sta davvero dormendo oppure se è sveglio! Il sonno REM presenta vari tipi di onde cerebrali: è un mix di un intenso stato di eccitazione cerebrale e di immobilità muscolare, per questa ragione è talvolta chiamato sonno paradosso. Dalla Fase REM, il cervello ritorna poi alla Fase 2 e ricomincia il processo dall’inizio. PROBLEMI DEL SONNO Dato che durante il sonno la nostra attività deve seguire diverse fasi, con diverse caratteristiche, quando una o più di questa fasi non è ottimale, possono verificarsi vari problemi: Insonnia (difficoltà di addormentamento) Insonnia terminale (risvegli notturni con impossibilità di riaddormentarsi) Sonno senza riposo (sonno agitato con molto movimento, tensione muscolare ecc) Sonno intermittente (multipli risvegli notturni durante la notte) Sonno non ristoratore (difficoltà di risveglio, con stanchezza fisica o psicologica) Tutte queste difficoltà sono risolvibili dopo avere effettuato una adeguata analisi del funzionamento cerebrale, che può essere svolta attraverso una MAPPATURA CEREBRALE (qEEG o EEg Quantitativo). Con questo esame è possibile vedere quali pattern cerebrali sono presenti e che possono impedire un fisiologico passaggio tra le varie fasi del sonno. In seguito, un TRAINING DI NEUROFEEDBACK GLOBALE può aiutare a risolvere le difficoltà riscontrate, grazie alla sua capacità di migliorare la funzionalità in molte aree cerebrali. Nel prossimo articolo parleremo di COSA SUCCEDE NEL NOSTRO CERVELLO QUANDO NON DORMIAMO Seguite il BrainBlog nei prossimi giorni!! |
AuthorDott.ssa Samantha Miazzi, fondatore e direttore scientifico di The BrainLab Group. Archives
Novembre 2022
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